LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: Santolla Francesco, nato il 16 marzo 1953, avverso ordinanza del 20 marzo 2003 del Tribunale di Taranto; Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso; Sentita la relazione del consigliere dott. Maurizio Fumo; Sentito il PG nella persona del sost. proc. gen. dr. Gianfranco Viglietta, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; Rilevato: 1) che Santolla Francesco, imputato dei delitti di cui agli artt. 73 e 74 TU 309/1990, ricorre avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Taranto del 20 marzo 2003, che ha rigettato appello proposto avverso l'ordinanza della Corte di appello di Lecce, con la quale era stata rigettata la richiesta di declaratoria di inefficacia per decorrenza dei termini di fase della misura cautelare a suo tempo applicata al predetto; 2) che il 29 novembre 1997 fu emessa ordinanza di custodia cautelare a suo carico, la quale rimase ineseguita; che il 29 marzo 1999 il Santolla fu tratto in arresto in Olanda, a seguito di richiesta di estradizione avanzata dalla AG italiana; che il 16 dicembre 1999 il Tribunale di Lecce lo condanno' alla pena di anni 14 di reclusione, condanna confermata con riduzione di pena ad anni 12 - dalla Corte di appello di quella stessa citta'; 3) che la sentenza di secondo grado fu annullata con rinvio dalla Corte di cassazione (in data 1° luglio 2002); 4) che il 9 gennaio 2003 il Santolla, estradato dall'Olanda, fu arrestato presso l'aeroporto di Roma-Fiumicino e, da allora, trovasi detenuto nel nostro Paese; 5) che il Tribunale del riesame, condividendo l'assunto della Corte leccese, ha ritenuto che il dettato dell'art. 722 c.p.p. non consente di invocare il superamento dei termini di fase (i quali, nel caso in esame, a seguito della regressione per annullamento, avrebbero superato il loro doppio), ma fa riferimento unicamente a quelli complessivi, osservando poi che la circostanza che il ricorrente si trovi ora detenuto in territorio italiano non vale, per il Tribunale, a modificare i termini della questione, atteso che, in tal caso, i termini di fase si calcolano dalla data in cui il soggetto e' stato posto a disposizione della AG italiana; 6) che, con il ricorso, il difensore deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 303, 304, 722 c.p.p., nonche' carenza ed illogicita' di motivazione, osservando che, a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione, il procedimento e' regredito al primo grado e che il doppio del termine di fase (anni 3) risulta scaduto, anche in considerazione delle recenti decisioni della Corte costituzionale, le quali si riverberano necessariamente sulla interpretazione ed applicazione dell'art. 722 c.p.p. (essendo incostituzionale ogni diversa interpretazione); 7) che il ricorrente osserva ancora che l'assunto del Tribunale del riesame, il quale ha ritenuto che la procedura di estradizione, inserendosi nel procedimento penale, metta l'AG italiana nella condizione di non poter piu' esercitare controllo sulla osservanza dei termini di fase (il cui decorso potrebbe non piu' essere addebitabile alla sua inerzia), e' certamente errato, atteso che la procedura di estradizione non ha nulla a che vedere con la celebrazione del processo, la quale e' sempre rimessa alla piena autonomia della AG italiana, trattandosi di due proce-dure parallele che non consentono disparita' di trattamento tra chi e' detenuto in Italia e chi e' detenuto all'estero, in attesa della estradizione (e cio' a maggior ragione nel caso di specie, perche' attualmente Santolla si trova in vinculis Italia); Ritenuto: 8) che l'interpretazione dell'art. 722 c.p.p., operata dalla giurisprudenza, anche recente, di questa Corte (cfr ASN 200215439-RV 221994; ASN 199903879-RV 214093), e' nel senso di ritenere che la detenzione cautelare subita dal cittadino all'estero sia computabile ai fini dei termini complessivi di custodia cautelare e non anche dei termini di fase; 9) che e' stata esplicitamente affermata (ASN 199501417-RV 202254) la ragionevolezza della norma (art. 722 c.p.p.) che, ai fini della durata della custodia cautelare sofferta all'estero, ha riguardo, non ai termini massimi di fase, ma alla durata complessiva della custodia stessa, diversa essendo la situazione della persona sottoposta a misura cautelare in Italia, da quella sottoposta ad analoga misura all'estero ed in attesa della definizione del procedimento di estradizione; 10) che il rinvio che l'art. 722 c.p.p. fa all'art. 304, comma quarto, stesso codice (da intendersi, dopo le recenti modifiche, come rinvio all'art. 304 comma sesto) non contiene, oltretutto, riferimento ai criteri di calcolo da adottare per determinare il raggiungimento del limite detentivo in esso previsto; 11) che la interpretazione fornita con le pronunzie della Corte costituzionale, date con sentenza 292/1198 e con ordinanze 429/1199, 214/2000, 529/2000, 243/2003 (assunte, come e' noto, sul presupposto che il doppio del termine di fase vada calcolato addizionando periodi di detenzione, anche eventualmente sofferti in fase diversa da quella in cui il procedimento e' regredito), non e' pacificamente applicabile alla fattispecie qui in esame, dovendosi ritenere, alla luce della giurisprudenza di legittimita' prima citata, che il doppio del termine di fase debba calcolarsi a far tempo dal momento in cui l'interessato abbia varcato la soglia di un istituto penitenziario nazionale: 12) che la norma in applicazione sembra pertanto porsi in contrasto, dopo i ricordati arresti giurisprudenziali del giudice delle leggi, con i principi di cui agli artt. 3 e 13 della Carta costituzionale, nella parte in cui prevede che la custodia cautelare all'estero non rilevi ai fini del computo dei termini di fase; 13) che il procedimento va quindi sospeso, ferma restando la misura cautelare in atto e che la questione va rimessa all'esame della Corte costituzionale, essendo poi onere della Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui alla legge 87/1953 e a quelli di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p.;